La veridicità delle operazioni fatturate da soggetti terzi al contribuente non può essere desunta dai contratti di collaborazione effettivamente intervenuti tra le parti. È quanto emerge dalla lettura della sentenza 27 giugno 2014, n. 14704, della Corte di Cassazione.
La Sezione Tributaria ha accolto il ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate, avverso la sentenza con cui la CTR delle Marche ha annullato un avviso di accertamento per IRPEG e ILOR, conseguente al disconoscimento dei costi dedotti da una società, poi fallita.
Le doglianze del Fisco. L’Agenzia ha lamentato il vizio di motivazione con riguardo all’esistenza delle operazioni fatturate, dovendo ritenersi insufficiente sia il riferimento “alla copiosa documentazione prodotta a controprova della realtà delle operazioni” sia quello “ai contratti di collaborazione intervenuti tra le parti”, considerando che queste appartenevano tutte a uno stesso gruppo imprenditoriale e che le fatture erano “estremamente generiche”. Secondo l’Amministrazione, poi, pur essendo vero che spetta all’Ufficio l’onere di dimostrare l’esistenza dei fatti costitutivi della pretesa tributaria (in questo caso l’esistenza di un maggiore imponibile), è altrettanto vero che il contribuente, quando contesta la capacità dimostrativa di tali fatti, deve indicare gli elementi sui quali l’eccezione si fonda; di conseguenza, spetta al contribuente, che invochi la deduzione di una spesa, provare l’esistenza della stessa, il suo ammontare e la sua inerenza all’attività d’impresa. Nel caso di specie, invece, la genericità della fatture e mancanza di ogni documentazione relativa all’an e al quantum dei costi dedotti non poteva consentire al giudice di merito di ritenere soddisfatto il detto onere.
Le doglianze del Fisco sono state ritenute fondate e il ricorso pertanto accolto, con rinvio alla CTR di Ancona per nuovo giudizio.
I principi. Nelle motivazioni gli Ermellini affermano che la fattura è, di regola (salva l’ipotesi di contabilità inattendibile), documento idoneo a rappresentare un costo dell’impresa, purché redatta in conformità ai requisiti di forma e contenuto prescritti dall’articolo 21 del D.P.R. 633/72. In particolare devono essere specificati l’oggetto e il corrispettivo dell’operazione. Normalmente, quindi, una fattura regolare, lasciando presumere la verità di quanto in essa rappresentato, costituisce titolo per il contribuente ai fini della deduzione del costo indicato; a fronte dell’esibizione di una fattura spetta all’Ufficio dimostrare, anche attraverso presunzioni semplici, il difetto delle condizioni per l’agevolazione fiscale e, in particolare, che la fattura concerna operazioni oggettivamente inesistenti, cioè sia una mera espressione cartolare di operazioni commerciali mai poste in essere da alcuno. In tal caso, pertanto, l’Ufficio ha l’onere di fornire elementi probatori del fatto che l’operazione fatturata non è stata effettuata (ad esempio provando che la società emittente la fattura è una “cartiera”). A questo punto, però, si trasferisce sul contribuente l’onere di dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate, ma la prova non può consistere nell’esibizione della fattura o nella sola dimostrazione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, i quali sono infatti normalmente utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia; in caso, infine, di accertata assenza dell’operazione è escluso che possa configurarsi la buona fede del cessionario o del committente, il quale ovviamente sa bene se ha effettivamente ricevuto una determinata fornitura di beni o prestazione di servizi.
Ebbene, alla luce di tali principi, la Sezione Tributaria del Palazzaccio ha ritenuto meritevole di censura la sentenza gravata, perché “appare evidente – si legge in sentenza – che la CTR, escludendo ogni rilevanza all’irregolarità formale delle fatture per eccessiva genericità delle stesse ed affermando l’effettiva realizzazione delle operazioni di cui alle dette fatture solo facendo riferimento ai ‘contratti di collaborazione’ (peraltro non registrati) intervenuti tra le parti, non ha sufficientemente motivato il suo convincimento e non ha correttamente applicato i su riportati criteri in ordine all’onere della prova”. Ora si celebrerà un nuovo giudizio.
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