L’art. 12-quinques sopra citato punisce la fittizia attribuzione a terzi di denaro, beni o altre utilità, effettuata al fine di eludere le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione patrimoniale o di contrabbando, oppure di agevolare la commissione di uno dei delitti previsti dagli artt. 648, 648-bis e 648- ter del codice penale. Si tratta di un reato a forma libera che si concretizza nell’attribuzione fittizia della titolarità o disponibilità di denaro o di qualsiasi altro bene o utilità, realizzata con modalità non predeterminate, al fine di eludere specifiche disposizioni di legge.
La condotta vietata consiste nella creazione di una situazione di apparenza formale della titolarità di un bene, difforme dalla realtà sostanziale, e nel mantenimento consapevole e volontario di tale situazione.
Ebbene, con riguardo all’ipotesi delittuosa in questione, la Suprema Corte ha sostenuto che non è corretto ritenere, come fatto dal giudice di merito, che l’articolo 12-quinquies non sarebbe applicabile a colui il quale ha compiuto altri delitti da cui avrebbe conseguito la provvista illecita, poiché tali condotte sarebbero riconducibili nell’alveo (all’epoca dei fatti di causa) penalmente non sanzionato dell’autoriciclaggio.
Questa tesi ha fatto ritenere al Tribunale la mancanza di uno dei presupposti che la disciplina delle misure di prevenzione patrimoniale richiederebbe per l’applicazione del sequestro finalizzato alla confisca, “ovverosia una condotta illecita finalizzata a sottrarsi a una misura di prevenzione o comunque una condotta penalmente non sanzionabile in quanto essa stessa autoriciclaggio”.
Ma per gli ermellini si tratta di una conclusione in contrasto con la giurisprudenza di legittimità che ha evidenziato “la autonoma e distinta portata illecita dell’articolo 12-quinquies rispetto al riciclaggio e quindi all’autoriciclaggio e la sua riferibilità anche a soggetti autori di delitti presupposti”.
Secondo gli ermellini è pure censurabile l’affermazione del Tribunale secondo cui l’evasore fiscale, ancorché per importo ingente, non può dirsi di per sé socialmente pericoloso: “Si tratta di conclusioni chiaramente errate”, scrivono i supremi giudici, “posto che l’evasore fiscale oltre una certa soglia è punito dall’ordinamento in quanto tale e non solo se reimpiega il profitto illecito in altre attività e la valutazione della pericolosità sociale dell’evasore fiscale deve essere fatta caso per caso ed in concreto”.
Il Tribunale fiorentino dovrà rivalutare il caso alla luce dei principi di diritto rassegnati dalla Corte.
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