Corte di Cassazione, sentenza n. 10118 del 21.04.2017 – Il dichiarante (ossia, nella specie, lo spedizioniere quale rappresentante indiretto) è debitore dell’obbligazione doganale e il suo operato, ai sensi dell’art. 220 CDC, deve essere informato a criteri di diligenza, tant’è che, in caso di errore, la buona fede costituisce parametro esonerativo dell’obbligo.
L’avviso di accertamento in materia doganale, che si fondi su verbali ispettivi Olaf, i quali hanno carattere riservato ma possono essere utilizzati dall’Amministrazione nei procedimenti per inosservanza della regolamentazione doganale, è legittimamente motivato ove riporti, nei tratti essenziali, il contenuto di quegli atti presupposti, dovendosi ritenere la produzione del rapporto finale OLAF non incluso tra i requisiti di validità della motivazione dell’atto impositivo.
La responsabilità del dichiarante in dogana – Sia l’importatore che il dichiarante in dogana (rappresentante indiretto) sono solidalmente obbligati al pagamento dell’obbligazione doganale, trovando applicazione l’art. 220, par. 2, CDC, ai sensi del quale la buona fede, la cui prova incombe sul contribuente, se, in termini generali, può escludere la contabilizzazione a posteriori dei dazi, non può però essere invocata dal debitore “qualora la Commissione Europea abbia pubblicato nella Gazzetta Ufficiale delle Comunità Europee un avviso in cui sono segnalati fondati dubbi circa la corretta applicazione del regime preferenziale da parte del paese beneficiario”.
Conclusioni – Il valore delle merci all’atto dell’importazione deve essere dichiarato attraverso la compilazione della dichiarazione doganale d’importazione redatta sul modello DAU.
La dogana può comunque chiedere che i dati e le informazioni contenute nella dichiarazione siano confermate da prove.
La falsa dichiarazione può concretizzare inoltre anche fattispecie di rilevanza penale, quali appunto il reato di contrabbando e il reato di falso.
L’accertamento in dogana rappresenta del resto un elemento fondamentale nella procedura di riscossione delle risorse del bilancio dell’Unione Europea, laddove gli Stati membri hanno la specifica responsabilità di provvedere alla riscossione delle risorse proprie “tradizionali”, con l’obbligo di adottare tutti i provvedimenti necessari affinché le obbligazioni comunitarie (tra cui senza dubbio anche i dazi all’importazione) siano accertate, contabilizzate, riscosse e messe a disposizione della Commissione.
Una non corretta procedura di determinazione e/o riscossione potrebbe dunque determinare un danno agli interessi finanziari dell’UE, e quindi anche una responsabilità dello Stato membro presso il quale è stata presentata la dichiarazione d’importazione.
Se del resto, nel caso dell’imposizione diretta, il danno per l’Erario consisterà nella deviazione dei redditi in un Paese estero, nel caso delle obbligazioni doganali il danno sarà duplice: fiscale ed economico, dato che, non solo si pagheranno minori dazi, ma si potranno perseguire anche illecite politiche di dumping, al fine di “invadere” il mercato con prodotti a prezzi concorrenziali.
L’impegno del legislatore in materia di accertamento doganale è quindi teso all’applicazione e tutela non solo degli interessi erariali, ma anche di un principio fondamentale dell’Ordinamento Comunitario (e nazionale), quale quello della libera concorrenza.
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