È quanto emerge dalla sentenza n. 591/2017 della Quinta Sezione Tributaria della Corte di Cassazione.
La controversia riguarda una cartella di pagamento emessa nei confronti di una società di persone, per somme concernenti la tassa automobilistica relativa agli anni 2005 e 2006.
L’atto riscossivo è stato annullato dai giudici di primo grado perché la notificata è avvenuta oltre il termine triennale di prescrizione decorrente dall’anno successivo a quello in cui doveva essere effettuato il pagamento. La CTP di Roma ha però disposto la compensazione delle spese di lite.
Ebbene, la società contribuente ha proposto appello proprio con riguardo al capo della sentenza di prime cure riguardante le spese del giudizio. Ma l’atto di gravame è stato respinto dalla CTR, sul rilievo che la decisione di compensare le spese processuali rientra tra i poteri discrezionali del giudicante, il cui esercizio non richiede un’esplicita motivazione, che può desumersi anche dalla complessiva motivazione della sentenza che, nel caso di specie, non era entrata nel merito della pretesa tributaria, né aveva comportato alcuna valutazione circa la responsabilità dell’Ufficio.
I Supremi Giudici hanno preso le distanze da questo ragionamento decisionale.
Nella fattispecie trova applicazione l’art. 92 cod. proc. civ. vigente ratione temporis, in base al quale – ricorda la Suprema Corte -, ove non sussista reciproca soccombenza, la compensazione delle spese è legittima solamente in presenza di “gravi ed eccezionali ragioni esplicitamente indicate nella motivazione.” È comunque necessario che nella motivazione non siano addotte ragioni illogiche o erronee, dovendosi ritenere sussistente il vizio di violazione di legge nell’ipotesi in cui le ragioni addotte si appalesino, appunto, “illogiche o erronee.” (Cass. n. 2883/2014; conforme a Cass. n. 12893/2011).
Nel caso di specie, ad avviso degli Ermellini, i giudici di merito hanno violato questi principi.
Infatti – si legge testualmente in sentenza – “è inidoneo ad integrare una adeguata motivazione dell’esercizio del potere del giudice di merito di compensare le spese il richiamo al complesso delle statuizioni adottate nella sentenza di primo grado, da cui emerge non già la reciproca soccombenza delle parti ma la soccombenza esclusiva di una di esse, considerato che, secondo il principio di causalità, la necessità, per il privato, di ricorrere al giudice è pur sempre derivata da una colpa organizzativa della Amministrazione.”
La Suprema Corte, pertanto, accoglie il ricorso e cassa l’impugnata sentenza, con rinvio alla CTR del Lazio, in diversa composizione, che provvederà alla regolamentazione delle spese del giudizio.
La riforma. L’articolo 15 del D.Lgs. n. 546 del 1992 riguarda le spese del giudizio tributario e stabilisce, nel testo in vigore fino al 31 dicembre 2015, che la Commissione tributaria “può dichiarare compensate in tutto o in parte le spese, a norma dell’art. 92, secondo comma, del codice di procedura civile.” Con la riforma introdotta dal D.Lgs. n. 156 del 2015, l’articolo 15 non rinvia più all’articolo 92 del codice di rito civile, in quanto prevede espressamente che “Le spese di giudizio possono essere compensate in tutto o in parte dalla commissione tributaria soltanto in caso di soccombenza reciproca o qualora sussistano gravi ed eccezionali ragioni che devono essere espressamente motivate.”
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