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Riciclaggio: commercialista ai domiciliari

16 Ottobre 2014silvanaNews

Cassazione Penale, sentenza depositata il 15 ottobre 2014

Rischia gli arresti domiciliari il commercialista indagato per riciclaggio, anche se è incensurato. È quanto emerge dalla sentenza n. 43130/14, pubblicata ieri presso la Seconda Sezione Penale della Cassazione.

Il caso.
Una professionista, indagata con altri soggetti per fatti di riciclaggio, ha impugnato, senza successo, l’ordinanza con cui il Tribunale del riesame, accogliendo l’appello del PM, ha disposto nei suoi confronti la misura cautelare degli arresti domiciliari con divieto di comunicare con persone diverse da quelle coabitanti, sospendendo l’applicazione della misura fino alla sua irrevocabilità.

Contrariamente al GIP, il Tribunale ha ravvisato il pericolo della reiterazione della condotta criminosa. Di diverso avviso la difesa, che quindi ha portato la vicenda all’attenzione dei Supremi Giudici.

I rilievi della SC. Secondo i giudici del Palazzaccio, che così hanno disatteso il ricorso, lo stato di incensuratezza, non dimostra automaticamente l’assenza di pericolosità, potendo questa essere desunta, come prevede l’articolo 274 lett c) del codice di procedura penale, dai comportamenti e dagli atti concreti dell’agente quale specifico elemento significativo per valutare la sua personalità (cfr. Cass. n. 34271/07, ex multis). Occorre pure considerare che, ai fini dell’affermazione della sussistenza del pericolo di reiterazione del reato, “ben possono porsi a fondamento della valutazione della personalità dell’indagato le stesse modalità del fatto da cui è stata dedotta anche la gravità” (cfr. Cass. n. 32265/13).

Nel provvedimento impugnato, il Tribunale, dopo aver passato in rassegna gli elementi posti a fondamento della gravità indiziaria, che nemmeno la difesa ha contestato, ha sostenuto che il “pericolo di reiterazione di analoghe condotte criminose era, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice per le indagini preliminari, concreto, elevato, persistente, non relegabile a un ambito strettamente professionale della commercialista […]”.

Il giudice di merito ha individuato le specifiche modalità delle condotte ascritte all’indagata, in particolare, “lo svolgimento di prestazioni non riconducibili all’ordinaria attività professionale di commercialista, una radicata ed elevata inclinazione delinquenziale alla commissione di fattispecie criminose analoghe, facilità, sfrontatezza e propensioni non comuni ad ideare e attuare meccanismi ingannevoli e complessi volti a creare situazioni simulate e artificiose per ripulire denaro di illecita provenienza”.

Il giudice d’appello cautelare non ha poi mancato di evidenziare che la professionista “non aveva negato la sua disponibilità per un’operazione illecita analoga, da attuare con le medesime modalità, come si evinceva dalla conversazione telefonica intercettata […], richiamata anche dal giudice per le indagini preliminari nell’ordinanza appellata”.

Insomma, a parere della Suprema Corte, il Tribunale ha operato una valutazione che, in modo globale, ha preso in considerazione entrambi i criteri direttivi indicati dall’articolo 274, lett. c) c.p.p., ossia le specifiche modalità e circostanze del fatto e la personalità della persona sottoposta a indagini, desunta da comportamenti o atti concreti.

La professionista paga le spese processuali.

Autore: Redazione Fiscal Focus

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Dott.ssa Silvana Bruce

Dott.ssa Silvana Bruce

Titolare delle studio B&G Italia S.r.l. & Partners Collaboratrice diretta dell’Ambasciata Argentina – Dipartimento Sviluppo Economico

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