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Ramo d’azienda. Cartella notificata al cessionario

11 Giugno 2015silvanaNews
La risoluzione del contratto di cessione di ramo d’azienda non impedisce al fisco di pretendere dal cessionario il pagamento delle imposte e delle sanzioni. È quanto emerge dall’ordinanza n. 11972/15 della Corte di Cassazione.

La Sesta Sezione Tributaria ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate nell’ambito di una controversia concernente una cartella di pagamento per imposte e sanzioni collegate alla cessione di un ramo d’azienda.

La Commissione Tributaria Regionale di Roma ha annullato la suddetta cartella, notificata al cessionario, attribuendo rilievo all’intervenuta risoluzione del contratto – per inadempimento – dopo pochi mesi dalla stipula e parecchi anni dopo la notifica della cartella.

Dal canto suo l’Ufficio ha lamentato dinanzi alla Suprema Corte l’ininfluenza della suddetta risoluzione, poiché non opponibile ai terzi alla stregua della normativa civilistica, spiegando effetti solo per il futuro, lasciando così inalterata la cessione per l’anno in cui si era realizzata (il 2004).

Ebbene, la tesi dell’Amministrazione finanziaria ha trovato ingresso nel giudizio di legittimità.

Gli ermellini hanno ritenuto “manifestamente fondato” il ricorso dell’AdE, atteso che l’articolo 14, comma 1, del D.Lgs. n. 472/97 prevede che “il cessionario è responsabile in solido, fatto salvo il beneficio della preventiva escussione del cedente ed entro i limiti del valore dell’azienda o del ramo d’azienda, per il pagamento dell’imposta e delle sanzioni riferibili alle violazioni commesse nell’anno in cui è avvenuta la cessione e nei due precedenti, nonché per quelle già irrogate e contestate nel medesimo periodo anche se riferite a violazioni commesse in epoca anteriore”.

Si tratta di una disposizione che, quanto ai rapporti tributari, introduce una disciplina speciale in tema di cessione di azienda (Cass. n. 59/79/2014), regolando diversamente gli effetti della cessione sui debiti del cedente rispetto alla normativa civilistica, che deve comunque ritenersi pienamente operante nella parte in cui non è derogata.

Ora, essendo pacifico nel caso che il credito fiscale riguardava l’anno 2004 e che la cessione del ramo d’azienda conclusa fra il debitore e il cessionario era stata stipulata all’inizio del 2004, a fronte dell’accordo successivamente concluso verso la fine dello stesso anno, “non può revocarsi in dubbio” – scrivono gli ermellini – “la piena operatività della cessione ai fini della responsabilità del cessionario in ordine alle obbligazioni relative all’anno di conclusione dell’accordo di trasferimento d’azienda in forza del ricordato articolo 14 d.lgs. n. 472/1997 posto che l’accordo transattivo non poteva spiegare efficacia retroattiva in relazione a quanto previsto dagli articoli 1372 c.c. e successivi, né poteva avere valenza nei confronti dei terzi se qualificato come risoluzione per inadempimento – per come erroneamente ritenuto dalla CTR -, in relazione a quanto previsto dall’art. 1458 comma 2 c.c.”.

Non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la Suprema Corte ha accolto il ricorso del fisco cassando senza rinvio la sentenza impugnata. Alla contribuente sono state addebitate le spese del giudizio.

Autore: Redazione Fiscal Focus

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Dott.ssa Silvana Bruce

Dott.ssa Silvana Bruce

Titolare delle studio B&G Italia S.r.l. & Partners Collaboratrice diretta dell’Ambasciata Argentina – Dipartimento Sviluppo Economico

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