La Cassazione è tornata a pronunciarsi in materia di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente (nel contesto di indagini per violazioni penal tributarie), con una sentenza della terza sezione penale, depositata il 20 giugno scorso.
In particolare, nella sentenza n. 25451 viene affrontato il tema della valenza ai fini della misura cautelare reale preventiva delle presunzioni tributarie, con particolare riferimento alla presunzione legale contenuta nell’art. 32, comma 1, n. 2) del DPR n. 600/1973, in tema di indagini finanziarie.
La sentenza n. 25451/2016. Il tema della rilevanza delle presunzioni tributarie nel procedimento penale è stato oggetto di trattazione nella sentenza n. 25451, depositata il 20 giugno scorso, della terza sezione penale della Suprema Corte, innanzi alla quale era stata impugnata (dal Procuratore della Repubblica) l’ordinanza del Tribunale del riesame di Pordenone con la quale veniva annullato il sequestro disposto dal Gip di quel Tribunale, finalizzato alla confisca per equivalente, sino alla concorrenza della complessiva somma di euro 1.862.956, dei beni mobili ed immobili nella disponibilità di un soggetto indagato per i reati di cui agli artt. 4 e 11 del D.Lgs. n. 74/2000, per gli anni d’imposta 2009, 2010 e 2011.
Gli elementi di reddito oggetto di contestazione emergevano all’esito di un’indagine finanziaria nel cui contesto venivano individuate numerose rimesse bancarie operate sul conto del contribuente da una società di diritto croato.
In sintesi il Tribunale friulano ha annullato il provvedimento ablativo sulla base della considerazione che la presunzione operata dall’Amministrazione Finanziaria ai sensi dell’art. 32, comma 1 n. 2) del DPR n. 600/1973 (la rilevanza fiscale delle rimesse individuate, in quanto non giustificate dal contribuente), poteva essere valida solo in ambito amministrativo tributario, ma non era idonea a fondare un giudizio di dichiarazione infedele sotto il profilo penalistico.
Sotto un diverso aspetto ha, altresì, curiosamente affermato che la presunzione troverebbe applicazione solo con riferimento alle movimentazioni relative a conti intestati a persone giuridiche.
Le doglianze della Procura. Come tutte le misure cautelari, il sequestro preventivo va applicato alla congiunta presenza di due specifici presupposti:
Sulla base di tale assodato principio, la pubblica accusa ha rappresentato in ricorso come, ai fini dell’adozione della misura cautelare preventiva, sia sufficiente l’esistenza del fumus commissi delicti; tal fumus era di certo presente con riferimento ad entrambe le fattispecie oggetto di indagine in quanto:
La tesi dei Giudici di legittimità. Condividendo la tesi del Procuratore della Repubblica, la terza sezione penale adita ha ribaltato la tesi del Tribunale del riesame, evidenziando l’erroneità degli argomenti da quest’ultimo utilizzati nell’ordinanza di annullamento.
In primo luogo, osserva la Corte come, ai fini della presunzione da indagini finanziarie, sia del tutto priva di fondamento la distinzione tra le movimentazioni bancarie risultanti in conti intestati a persone giuridiche e quelle in conti ascrivibili a persone fisiche: in più occasioni, infatti, la Sezione tributaria della medesima Corte ha precisato che il principio sancito dall’art. 32 del DPR n. 600/1973 (in virtù del quale sia i prelevamenti che i versamenti operati su conti correnti bancari vanno imputati a ricavi se in contribuente non ne giustifica la diversa natura), “è applicabile a qualunque contribuente che svolga attività imprenditoriale, quale che ne sia la forma giuridica, sia esso una persona giuridica ovvero, come nel caso che ora interessa, una persona fisica”.
Ma l’interpretazione normativa contenuta nell’ordinanza impugnata, per i Giudici di legittimità è viziata anche sotto un altro aspetto: la rilevanza delle presunzioni tributarie nel procedimento penale.
Diversamente, infatti, da quanto ritenuto dal Tribunale friulano, la Suprema Corte osserva come “le presunzioni legali previste dalle norme tributarie, pur non potendo costituire di per sé fonte di prova della commissione dei reati previsti dal D.Lgs. n. 74 del 2000, hanno un valore indiziario sufficiente ad integrare il fumus commissi delicti idoneo, in assenza di elementi di segno contrario, a giustificare, come nel caso che interessa, l’applicazione di una misura cautelare reale (Corte di cassazione, Sezione III penale, 16 gennaio 2015, n. 2006; idem Sezione III penale, 13 febbraio 2013, n. 7078)”.
In conclusione, gli Ermellini annullano l’ordinanza impugnata, per vizio di legge, con rinvio al Tribunale di Pordenone che, in diversa composizione personale, dovrà provvedere nuovamente, in applicazione dei suesposti principi.
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