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IRI: le conseguenze dopo l’uscita

11 Gennaio 2017silvanaNews

fisco-calcolo-bilancio

Premessa – Con l’IRI, introdotta nel nostro ordinamento con la Legge di Bilancio 2017, l’obiettivo dichiarato del legislatore è doppio, ossia, da un lato incentivare la patrimonializzazione delle piccole e medie imprese (far si che l’imprenditore vi reinvesta) e dall’altro rendere più neutrale il sistema di tassazione rispetto alla forma giuridica con cui l’attività è esercitata.

Volendone sintetizzare il meccanismo di funzionamento l’IRI si sostanzia nel tassare con aliquota flat del 24% (ossia la stessa aliquota IRES prevista dal 2017) il reddito (utile) che si decide di lasciare in azienda e nell’assoggettare ad IRPEF il reddito che l’imprenditore decide, invece, di prelevare. La base imponibile IRI è data da (+) Reddito d’esercizio (+/-) Variazioni aumento/diminuzione come da TUIR (-) Somme erogate ai soci o prelevate dall’imprenditore per utili o riserve di utili (entro il limite della sommatoria degli imponibili IRI dell’anno e degli esercizi precedenti, al netto delle perdite riportabili a nuovo). Dunque, ai fini IRI le somme prelevate dall’imprenditore o distribuite ai soci “sono portate a deduzione dal reddito d’impresa” (il che si traduce nel dire che dovrà essere eseguita una variazione in diminuzione nel Modello Unico).

Possono accedere all’IRI (è un regime opzionale e non obbligatorio) le imprese individuali, le società di persone (snc ed sas) e le srl che hanno optato per la trasparenza fiscale. È possibile applicare l’IRI già dal 2017 con comunicazione da eseguirsi nel Modello Unico/2018 (la scelta ha durata “vincolante” di 5 anni ed è rinnovabile). Se a scegliere l’IRI è una società (di persone o srl trasparente), non troverà applicazione (per tutta la durata del regime in commento) la trasparenza fiscale, il che si traduce nel dire che l’utile rimasto in azienda non sarà imputato a ciascun socio in base alla quota di partecipazione, ma sconterà l’IRI al 24% (in capo al socio sarà tassato solo l’utile che questi effettivamente percepirà qualora la società deciderà di distribuirlo. Solo in questo momento l’utile concorrerà al formare il reddito complessivo IRPEF in capo al socio percettore).

Inoltre, la disposizione normativa, prevede altresì che, al fine di evitare una doppia imposizione:

  • le somme prelevate e rappresentate da riserve di utili già tassati per trasparenza fuori dal regime IRI, non rilevano ai fini IRPEF (in altre parole trattandosi di utili formatesi prima dell’entrata nell’IRI, questi non saranno deducibili dal reddito d’impresa e anche se distribuiti non saranno tassati ai fini IRPEF in capo al socio, poiché già lo sono stati per trasparenza);
  • si considerano distribuite per prima le riserve formatesi prima dell’entrata nel regime IRI.

Le riserve di utili in caso di uscita dall’IRI – Qualora al termine dei 5 anni di durata dell’IRI, si dovesse decidere di non rinnovare la scelta e, quindi di fuoriuscirne, per le riserve di utili formatesi in regime IRI ed ancora disponibili è stabilito che queste continuano a sottostare a tale regime, il che sta significando che man mano che verranno distribuite concorreranno a formare il reddito complessivo IRPEF del socio ed in capo a questi tassate. Infatti, ciò è quanto dispone espressamente la norma: “le somme prelevate a carico dell’utile dell’esercizio e delle riserve di utili, nei limiti del reddito dell’esercizio e dei periodi d’imposta precedenti assoggettati a tassazione separata e non ancora prelevati, a favore dell’imprenditore, dei collaboratori familiari o dei soci, costituiscono reddito d’impresa e concorrono integralmente a formare il reddito complessivo dell’imprenditore, dei collaboratori familiari o dei soci”.

Il trattamento delle perdite – Un regime particolare è anche previsto per il trattamento delle perdite. Al riguardo, infatti, è stabilito che le perdite maturate nei periodi d’imposta di applicazione dell’IRI, saranno computate in diminuzione del reddito dei periodi d’imposta successivi per l’intero importo che trova capienza in essi. Dunque, scompare il vincolo temporale del quinquennio per l’utilizzo della perdita (finché si permane nell’IRI) previsto dal l’art. 8 comma 3 TUIR per le imprese (dove, è invece, previsto che le perdite derivanti dall’esercizio di imprese commerciali e quelle derivanti dalla partecipazione in società in nome collettivo e in accomandita semplice sono computate in diminuzione dai relativi redditi conseguiti nei periodi di imposta e per la differenza nei successivi, ma non oltre il quinto, per l’intero importo che trova capienza in essi).

È altresì stabilito che, nel caso in cui al momento della fuoriuscita dal regime in commento dovessero ancora esserci perdite non ancora utilizzate, queste ritorneranno ad essere computabili in diminuzione dai redditi ai sensi dell’articolo 8, comma 3 TUIR, considerando l’ultimo anno di permanenza nel regime come anno di maturazione delle stesse. Quindi se ad esempio il contribuente entra nell’IRI nel 2018 e chiude il 2018 in perdita, questi potrà utilizzare tale perdita finché rimarrà nel regime (non c’è vincolo quinquennale); ma se, ad esempio, dal 2023 dovesse uscire dall’IRI (considerando il 2022 come ultimo anno) e tale perdita non è ancora stata utilizzata, la stessa ritornerà a sottostare alle regole dell’art. 8 comma 3 TUIR, come se fosse maturata nel 2022 (e da tale periodo d’imposta, inizierà a decorrere il quinquennio entro cui potrà essere utilizzata).

Autore: PASQUALE PIRONE. Redazione Fiscal Focus. Antonio Gigliotti.

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Dott.ssa Silvana Bruce

Dott.ssa Silvana Bruce

Titolare delle studio B&G Italia S.r.l. & Partners Collaboratrice diretta dell’Ambasciata Argentina – Dipartimento Sviluppo Economico

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