La principale novità per tali soggetti, applicabile a partire dall’esercizio 2017, è senza dubbio il passaggio dal regime tipico di determinazione del reddito (di diretta derivazione civilistica), basato sul principio di competenza, ad un regime “ibrido”, che prevede la rilevazione di componenti della gestione caratteristica per lo più con il criterio di cassa e il ricorso al criterio di competenza per altri elementi reddituali.
L’irrilevanza delle rimanenze ai fini fiscali. Una delle componenti reddituali più significative per le imprese che effettuano cessioni di beni è notoriamente rappresentata dal valore delle rimanenze (a inizio e fine anno), elementi utilizzati per “correggere” il reddito di periodo, proprio in applicazione del principio di competenza: in futuro non sarà più così, in quando, in applicazione dell’art. 66, co. 1 del Tuir (come riformulato dall’art. 1, co. 17, lett. a) della Legge n. 232/2016), il valore delle rimanenze (rectius, delle variazioni delle rimanenze), diverrà del tutto irrilevante ai fini della determinazione del reddito di esercizio (imponibile ai fini fiscali).
Da alcune parti, l’irrilevanza delle rimanenze ai fini reddituali delle imprese minori è stata interpretata come decadenza dell’obbligo di effettuarne la rilevazione fisica e, soprattutto, di documentarla adeguatamente (ossia di redigere l’inventario di fine anno). Ma è davvero così?
Per dare una risposta sensata a questa domanda occorre analizzare il problema sotto vari profili, alla luce dell’attuale architettura normativa sul tema, ancor valida finché non sarà sostituita o modificata da eventuali futuri interventi.
Libro degli inventari nel codice civile. Ai sensi dell’art. 2214 del codice civile, il libro degli inventari rientra tra i libri obbligatori dell’impresa, unitamente al libro giornale e alle altre scritture contabili previste dalle leggi speciali (ad esempio i registri previsti dalla disciplina dell’Iva); tale obbligo viene meno solo in capo ai piccoli imprenditori (come sancito dal terzo comma del medesimo art. 2214).
Ai sensi del successivo art. 2217, l’imprenditore obbligato alla tenuta del libro degli inventari deve redigere, alla fine di ogni esercizio, l’inventario, con l’obbligo della rilevazione fisica e della valutazione delle rimanenze; detto documento deve essere, peraltro, sottoscritto dall’imprenditore entro tre mesi dal termine previsto per la presentazione della dichiarazione dei redditi (ossia entro l’anno successivo all’esercizio di riferimento).
Ciò significa che, sotto un profilo meramente civilistico, l’impresa “minore” che, per le proprie dimensioni, non sia qualificabile come “piccolo imprenditore”, dovrà attenersi agli obblighi documentali previsti dalle due norme richiamate (ossia redigere l’inventario, riportandone gli elementi essenziali nel libro degli inventari).
Libro degli inventari ai fini dell’accertamento. L’obbligo civilistico di tenuta del libro degli inventari viene richiamato ai impositivi diretti dall’art. 14 del DPR n. 600/1973; il successivo art. 15 prescrive, altresì, l’obbligo di redazione dell’inventario, il quale deve contenere, in aggiunta a quanto previsto dal codice, l’indicazione della consistenza dei beni raggruppati per categorie omogenee per natura e valore e del valore attribuito a ciascun gruppo (con possibilità di allegare le distinte concretamente utilizzate per la rilevazione fisica di fine anno).
In linea generale, pertanto, l’impresa è tenuta all’istituzione del libro degli inventari nel quale deve annualmente indicare le rilevazioni inventariali periodiche, sia per quantità che per valore.
L’art. 18 del DPR n. 600/1973, sia nella precedente formulazione, che in quella riformulata ad opera dell’art. 1, co. 22 della Legge n. 232/2016, prevede, tuttavia, una deroga per le imprese minori, esonerandole dall’osservanza degli obblighi sanciti dai precedenti artt. 14 e 15; la stessa norma, tuttavia, sancisce che sono fatti “salvi gli obblighi di tenuta delle scritture previste da disposizioni diverse dal presente decreto”.
Infatti, il sistema di rilevazione contabile di questi soggetti si basa da sempre sulla tenuta dei registri Iva, appositamente integrati con la rilevazione delle operazioni irrilevanti ai fini del tributo indiretto; di contro, non sono obbligati alla tenuta del libro giornale e del libro degli inventari ai fini dell’accertamento tributario (pur essendolo, si ribadisce, sotto il profilo civilistico se non rientranti tra i “piccoli imprenditori”).
La “disposizioni diverse”. Se ci limitiamo all’analisi del combinato disposto dagli attuali artt. 66 del Tuir e 18 del DPR n. 600/1973, si potrebbe concludere affermando che l’impresa minore, ai fini meramente fiscali, non è più obbligata a redigere l’inventario delle merci invendute, ora che tale rilevazione diventa assolutamente irrilevante ai fini reddituali.
Ora, al di là dell’evidente opportunità di redigere comunque un inventario di fine esercizio per ovvie ragioni di buona amministrazione aziendale, occorre comunque avere riguardo proprio a quelle “disposizioni diverse” dal decreto sull’accertamento.
Ci si riferisce, in particolare, all’art. 9, comma 1, lett. b) del D.L. n. 69/1989, convertito dalla Legge n. 154/1989, ai sensi del quale le imprese minori di cui all’art. 18 del DPR n. 600/1973 devono annotare nei registri Iva, “entro il termine stabilito per la presentazione della dichiarazione, (…) il valore delle rimanenze, indicando distintamente per queste ultime le quantità e i valori per singole categorie di beni, in giacenza alla fine dell’esercizio, previste dagli articoli 59 e 61 del Tuir (…), con l’indicazione dei criteri seguiti per la valutazione”; sostanzialmente si tratta dello stesso obbligo previsto dall’art. 15 del DPR n. 600/1973.
La norma concede, in alternativa al predetto adempimento, la possibilità di indicare la distinta indicazione delle quantità e dei valori delle rimanenze, nonché dei criteri di valutazione, in apposito prospetto di dettaglio, fermo restando l’obbligo di indicare il valore complessivo nei registri obbligatori ai fini dell’imposta sul valore aggiunto.
In applicazione dell’obbligo normativo da ultimo citato, l’art. 2, co. 2 del D.M. 02/05/1989, detta le regole di dettaglio per la rilevazione delle rimanenze, disponendo l’annotazione nel registro Iva degli acquisti, ovvero nell’apposito registro per coloro che effettuano soltanto operazioni non soggette Iva:
Rimane ferma le possibilità della distinta indicazione delle quantità e dei valori, nonché dei criteri di valutazione in apposito prospetto di dettaglio.
Queste “disposizioni diverse” non risultano intaccate dalla riforma operata dalla Legge di Bilancio 2017 e, pertanto, allo stato sono ancora vigenti, fatta salva la possibilità per il Ministro dell’Economia e delle Finanze, ai sensi del comma 23 dell’art. 1 della medesima legge, di adottare in futuro disposizioni di dettaglio a seguito di detta riforma, che vadano a modificare o a sostituire quanto sin qui evidenziato… ma questa è un’altra storia.
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