Premessa – In attesa del documento di prassi completo che fornisca tutti gli opportuni chiarimenti in merito ai dubbi inerenti l’applicazione ed il meccanismo di funzionamento della nuova IRI, sono state, intanto, fornite le prime precisazioni da parte dell’Agenzia delle Entrate in risposta ad alcuni quesiti posti, qualche giorno fa, dalla stampa specializzata sul tema.
A tal proposito è utile ricordare che l’imposta in commento è stata introdotta, a decorrere da 2017, con la nuova Legge di Bilancio (Legge n. 232/2016) con cui è stato inserito al TUIR il nuovo art. 55-bis. Il regime (opzionale) si concretizza nell’applicare una tassazione separata (con aliquota del 24%) all’utile che l’imprenditore decide di lasciare nell’impresa (quindi su quello non prelevato o distribuito ai soci), mentre solo l’utile prelevato o distribuito concorrerà a formare il reddito complessivo ai fini IRPEF in capo allo stesso imprenditore o socio.
Dunque, gli utili prelevati diventano in sostanza deducibili dal reddito d’impresa, e la base imponibile IRI, pertanto è data dal reddito d’impresa meno gli utili prelevati o distribuiti.
Possono scegliere l’IRI (purché si operi in contabilità ordinaria) solo le imprese individuali, le S.a.s. ed S.n.c., le imprese familiari e le Srl a ristretta base proprietaria (di cui all’art. 116 TUIR).
La base imponibile IRI – In particolare, il nuovo art. 55 bis del Testo Unico, inerente l’IRI, espressamente prevede che “Dal reddito d’impresa sono ammesse in deduzione le somme prelevate, a carico dell’utile di esercizio e delle riserve di utili, nei limiti del reddito del periodo d’imposta e dei periodi d’imposta precedenti assoggettati a tassazione separata al netto delle perdite residue computabili in diminuzione dei redditi dei periodi d’imposta successivi, a favore dell’imprenditore, dei collaboratori familiari o dei soci”.
Proprio con riferimento alla determinazione della base imponibile IRI (ossia quella su cui applicare la tassazione flat del 24%), l’Amministrazione Finanziaria ha precisato (dando conferma a quanto già si pensava) che questa va calcolate in pratica, determinando dapprima il reddito d’impresa secondo le ordinarie disposizioni del TUIR (quindi apportando le dovute variazioni in aumento o diminuzione al redditi d’esercizio) e poi deducendo da tale risultato le somme prelevate nel periodo d’imposta (deduzione che dovrà avvenire nei limiti del plafond IRI).
Le perdite già utilizzate escono dal plafond – Altro importante chiarimento riguarda proprio il plafond IRI, ossia il limite entro il quale è possibile la deduzione delle somme prelevate a carico dell’utile d’esercizio e delle riserve di utili. A norma dell’art. 55-bis, tale plafond è pari “al reddito del periodo d’imposta e dei periodi d’imposta precedenti assoggettati a tassazione separata al netto delle perdite residue computabili in diminuzione dei redditi dei periodi d’imposta successivi, a favore dell’imprenditore, dei collaboratori familiari o dei soci”.
Ora con riferimento alle perdite, nel caso in cui si operi in regime IRI è previsto un trattamento che deroga alla regola generale prevista dall’art. 8 comma 3 del TUIR. E’, infatti, previsto che le perdite maturate nei periodi d’imposta di applicazione dell’IRI, saranno computate in diminuzione del reddito dei periodi d’imposta successivi per l’intero importo che trova capienza in essi. Dunque, scompare il vincolo temporale del quinquennio per l’utilizzo della perdita (finché si permane nell’IRI) previsto dal citato art. 8 comma 3 TUIR per le imprese.
In un quesito specifico posto dalla stampa in merito al ruolo, nel plafond IRI, delle perdite maturate in regime IRI e già utilizzate, il Fisco chiarisce che il plafond (di volta in volta) è determinato computando in aumento i redditi assoggettati ad IRI (considerando sia quelli del periodo d’imposta sia quelli di periodi d’imposta precedenti) ed in diminuzione le perdite residue, ma solo quelle non ancora utilizzate (e non anche quelle già utilizzate).
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