Non di rado tale circostanza è stata invocata anche in ambito penale tributario, dal contribuente (in proprio o in relazione alla propria qualifica di rappresentante legale di un soggetto collettivo), accusato di aver commesso taluna delle ipotesi di omesso versamento di ritenute o di imposta sul valore aggiunto, rispettivamente disciplinate dagli artt. 10-bis e 10-ter del D.Lgs. n. 74/2000.
Sull’applicabilità dell’esimente ai citati delitti tributari si osserva, accanto ad una posizione molto rigorosa della Cassazione, una maggiore apertura in seno ai Giudici di merito; ne è un recente esempio la sentenza n. 21/17 del Tribunale di Brindisi (pronunciatosi su un omesso versamento dell’Iva dovuta in base alle dichiarazione annuale di una Srl) ove vengono valorizzati lo stato di crisi aziendale obiettivamente riscontrato, unitamente alle azioni concretamente poste in essere dall’amministratore della società per evitare la commissione di detto reato.
La posizione della Cassazione. Sull’applicabilità dell’esimente ai citati delitti tributari da omesso versamento, la Cassazione ha per lo più assunto una posizione molto prudente e rigorosa (risulta, anzi, assai restia a riconoscerne l’operatività in queste fattispecie di natura omissiva).
Nella Sentenza n. 18501 del 04/05/2015, la Terza Sezione Penale si pronuncia su un caso di omesso versamento Iva da parte di una società, oltre le soglie di rilevanza penale, relativa agli anni 2005 e 2006.
In tale contesto, l’imputato evidenziava tre aspetti che gli avrebbero impedito di fatto di onorare il proprio debito tributario, indicativi della mancanza di dolo, per ricorrenza dell’esimente della “forza maggiore”:
L’onere probatorio. I Giudici di legittimità ricordano in primis che il reato il questione è punito a titolo di dolo generico, precisando che la prova del dolo è insita in genere nella presentazione della dichiarazione annuale ove emerge il debito Iva.
Gli stessi hanno precisato che per invocare efficacemente l’esimente della forza maggiore, l’imputato deve assolvere gli oneri di allegazione concernenti sia il profilo della non imputabilità a lui medesimo della crisi economica che ha investito l’azienda, sia l’aspetto della impossibilità di fronteggiare la crisi di liquidità tramite il ricorso a misure idonee da valutarsi in concreto.
In altri termini, per la Cassazione occorre la prova che non sia stato altrimenti possibile per il contribuente reperire le risorse necessarie a consentirgli il corretto e puntuale adempimento delle obbligazioni tributarie, pur avendo posto in essere tutte le azioni, anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale, dirette a consentirgli di recuperare le somme necessarie per assolvere al debito erariale, senza esservi riuscito per cause indipendenti dalla sua volontà e a lui non imputabili1.
Principi cardine dei Giudici di legittimità. Dalla lettura della citata sentenza si ricavano i seguenti principi orientativi:
a) il margine di scelta esclude sempre la forza maggiore perché non esclude la suitas della condotta;
b) la mancanza di provvista necessaria all’adempimento dell’obbligazione tributaria penalmente rilevante non può, pertanto, essere addotta a sostegno della forza maggiore, quando sia comunque il frutto di una scelta/politica imprenditoriale volta a fronteggiare una crisi di liquidità;
c) non si può invocare la forza maggiore quando l’inadempimento penalmente sanzionato sia stato con-causato dai mancati accantonamenti e dal mancato pagamento alle singole scadenze mensili e dunque da una situazione di illegittimità;
d) l’inadempimento tributario penalmente rilevante può essere attribuito a forza maggiore quando derivi da fatti non imputabili all’imprenditore che non ha potuto tempestivamente porvi rimedio per cause indipendenti dalla sua volontà e che sfuggono al suo dominio finalistico.
La sentenza del Tribunale di Brindisi. Di recente, il Tribunale di Brindisi, nella pronuncia n. 21 del 12/01/2017, ha trattato un caso di omesso versamento Iva penalmente rilevante, assolvendo l’imputato (amministratore di una società) per mancanza di dolo.
Dagli atti del processo emerge che l’imputato, subentrato al precedente amministratore nel mese di settembre 2012, preso atto della situazione di decozione aziendale, aveva richiesto al Tribunale l’ammissione al concordato preventivo con continuità aziendale, allo scopo di portare avanti l’attività e di far fronte ai propri debiti con i futuri utili sperati.
I progetti aziendali non andavano però nel verso auspicato, tanto che l’imputato si trovava costretto a chiedere il fallimento dell’impresa, dichiarato a novembre 2015.
Secondo il Giudice di primo grado, l’oggettiva crisi economica e finanziaria della società, unita ai concreti tentativi dell’imputato di sanare la relativa situazione, costituisce causa di forza maggiore, sufficiente per ritenere l’insussistenza in capo al medesimo della punibilità o, quanto meno, di un profilo doloso.
La tesi conforme dei Giudici di Pordenone. Sulla medesima linea pro contribuente, si pongono altri arresti di merito; ci si riferisce, ad esempio, alla sentenza n. 1282 del 16/12/2016 del Tribunale di Pordenone, che ha discusso un caso di omesso versamento di ritenute certificate.
In tal caso, i Giudici di primo grado hanno valorizzato una serie di interventi posti in essere dall’imputato al fine di tentare di far fronte al debito erariale, consistenti:
La situazione finanziaria, peraltro, era stata di fatto peggiorata dal mancato incasso di crediti scaduti verso la Pubblica Amministrazione.
Secondo i Giudici di merito, in sostanza, l’imputato aveva adeguatamente fornito prova di uno stato di crisi non dipendente dalla proprie scelte imprenditoriali e del fatto di aver posto in essere (ancorché senza risultato) tutte la possibili azioni, anche contro il proprio patrimonio personale, atte a migliorare la situazione finanziaria della società.
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1Vengono in proposito citate le precedenti pronunce della medesima Sezione, nn.rr. 5905/2014, 15416/2014 e 5467/2013).
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