All’esito di un controllo o ispezione antiriciclaggio, possono scaturire violazioni imputabili al professionista, per non aver rispettato uno o più degli obblighi previsti dal D.Lgs n. 231/2007.
Le fattispecie penali in materia antiriciclaggio1 sono attualmente disciplinate dall’art. 55 del D.Lgs n. 231/2007; tra i reati ivi elencati, solo alcuni possono essere commessi dai professionisti giuridico-contabili, nell’ambito della propria attività di consulenza e assistenza al cliente.
La bozza delle modifiche al citato decreto, recentemente approvate dal Consiglio dei Ministri per il recepimento della IV Direttiva UE antiriciclaggio, introduce peraltro nuove fattispecie sanzionatorie di carattere penale che possono riguardare proprio la predetta attività di consulenza e assistenza.
Il vigente dispositivo penale di contrasto al riciclaggio – Le ipotesi oggetto delle denunce penali più diffuse in capo ai professionisti di cui all’art. 12 del D.Lgs n. 231/2007 sono sicuramente quelle derivanti da violazioni degli obblighi di identificazione del cliente e da quello, successivo, di registrazione (previsti, rispettivamente, dai commi 1 e 4 dell’art. 55, nonché dal successivo comma 6 che contempla una circostanza aggravante speciale2 per entrambe le ipotesi, comportante l’applicazione della multa in misura raddoppiata).
In realtà, le due accennate ipotesi (in forma semplice o aggravata), essendo punite in via edittale con la sola pena della multa, sono state di fatto depenalizzate per effetto della previsione contenuta nell’art. 1, comma 1 del D.Lgs 15 gennaio 2016, n. 8, in vigore dal 6 febbraio 2016, per cui rientrano a pieno titolo tra le violazioni amministrative antiriciclaggio.
L’obbligo di riservatezza – A seguito della cennata depenalizzazione “generale” delle violazioni punite con la sola pena pecuniaria, l’unica fattispecie che oggi conserva rilevanza penale, applicabile ai professionisti giudico-contabili, in connessione con la propria attività di assistenza e consulenza, va individuata nella violazione dell’obbligo di riservatezza, punita dall’art. 55, comma 8, con la pena dell’arresto da sei mesi a un anno o con l’ammenda da 5.000 a 50.000 euro.
Il reato de quo, viene ascritto, in via sussidiaria rispetto ad eventuali fattispecie penali più gravi, ad esempio al professionista che, dopo aver trasmesso all’Uif (o al Consiglio Nazionale dell’Ordine di appartenenza) una segnalazione di operazione sospetta, in ottemperanza all’obbligo sancito dall’art. 41 del decreto, ne dà comunicazione a soggetti estranei al dispositivo antiriciclaggio, ivi compresa la persona del “segnalato”.
Le nuove sanzioni penali per i professionisti – Secondo lo schema di decreto di recepimento della IV Direttiva antiriciclaggio oggi disponibile, sul fronte penale rileverà il “nuovo” comma 1 dell’art. 55, che contiene due nuove fattispecie penali, entrambe punite con la reclusione da 6 mesi a 3 anni e con la multa da 10.000 a 30.000 euro, applicabili al professionista che:
a) nel contesto dell’adeguata verifica, falsifica i dati e le informazioni relative:
La stessa pena si applica anche quando il professionista si avvale di mezzi fraudolenti al fine di pregiudicare la corretta conservazione dei predetti dati e informazioni.
Viene, peraltro, riconfermata l’attuale fattispecie contravvenzionale che punisce il professionista che viola gli obblighi di riservatezza; rimangono invariate le misure edittali detentive (arresto da sei mesi a un anno), ma viene diminuita la misura massima dell’ammenda (rendendosi applicabile in un range da 5.000 a 30.000 euro).
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1Ci si riferisce, ovviamente, alle ipotesi disciplinate dal D.Lgs n. 231/2007 e non a quelle previste e punite dal Codice Penale.
2Applicabile qualora gli obblighi di identificazione e registrazione siano assolti avvalendosi di mezzi fraudolenti, idonei ad ostacolare l’individuazione del soggetto che ha effettuato l’operazione.
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